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mercoledì 25 marzo 2009

Incontri






L'areoporto di Caselle risuona dei bip delle barriere di controllo della polizia areoportuale. Una agente dai capelli rossi e il volto tempestato di lentiggini mi guarda con aria quasi riconoscente quando il meccanismo infernale le risparmia un altra sturata di orecchie al mio adamantino e silenzioso passaggio.

Recupero il piu' celermente possibile il portafogli, il cellulare, il notebook lasciati conscienziosamente negli appositi cestelli. Mi spiace far spazientire il manager stempiato e abbronzato che mi segue, ansioso di recuperare la sua ventiquattrore griffata... ma non e' colpa mia se per passare il controllo di sicurezza occore quasi denudarsi.
Indosso la giacca e mi avvio lentamente verso il gate di pertinenza per tornare a Roma.

Al Check-in gia' il volo di ritorno era segnalato con un ritardo di 10 minuti. Ora sono diventati 15.

Gironzolo pigramente tra le vetrine dei pochi negozi in area di imbarco. Il piu' gettonato e' la cioccolateria, il resto e' tutta roba inavvicinabile. C'e' un chiosco di K-Way dove il costo delle cerate antipioggia e' praticamente lo stesso delle giacche di pelle o scamosciate. Pazzesco. Le ragazze che vi lavorano cercano di dare un senso alla loro giornata spostando qua e la' la merce anche se non sembra che ce ne sia effettivamente bisogno. Evidentemente non lavorano a provvigione, non fanno il minimo sforzo di risultare simpatiche ed invogliarti ad un incauto acquisto.
Magari sanno discernere i curiosi dai potenziali clienti a colpo d'occhio, e io non rientro di certo nella seconda categoria. Peccato, alcune sono carine e una chiacchiera sarebbe un simpatico diversivo per ingannare l'attesa.

Mi rintano su un sedile e mi metto a leggere. Sono le 17 e 30, il volo e' annunciato alle 18.15 eppure c'e' gia' chi sosta in fila davanti al gate 9.
Forse sperano di sollecitare l'arrivo dell'areomobile. Rinuncio a capire e mi immergo nuovamente nella lettura.

Dieci minuti la coda del mio occhio nota che la fila, ormai lunga una ventina di metri, si e' spostata al gate adiacente in un unico movimento quasi innaturale, come se le persone fossero collegate l'una all'altra da un'asta invisibile.
Il volo ha cambiato gate, dal 9 all'adiacente 8. Sarebbe stato divertente se invece lo avessero spostato dal lato opporto dei cancelli di imbarco. Sai che casino. Sogghigno all'idea.

Mi avvicino per leggere che il ritardo accumulato in partenza e' ormai di 45 minuti.

Finalmente iniziano le procedure di imbarco; la fila si muove, ondeggia, si separa e si riunisce sotto l'urto di coloro che inspiegabilmente scattano per incunearsi dai lati, mentre gli stoici rimasti in fila per 3 quarti d'ora, con i loro trolley monumentali misteriosamente scampati all'imbarco nel vano bagagli, cercano di difendere le loro inutili posizioni.

Si scende e ad aspettarci c'e' il pulmino.

Ci fosse uno che capisce che se scala un minimo verso il centro della vettura forse anche chi e' rimasto fuori puo' salire a bordo.
D'altro canto, anche tra gli inservienti, ce ne fosse uno che capisca che con un solo pulmino e' impossibile trasbordare 150 persone cariche di bagagli di dimensioni ben oltre il limite consentito.

Si resta li', sul bordo del predellino, come se quello fosse l'ultima corsa del 913 prima della chiusura notturna, per un buon quarto d'ora, fino a che arriva il secondo pulmino e quelli che erano restati a terra si avviano gongolanti alla faccia di quelli accalcati sulla schiena di quelli che non si schiodano dalla porta d'ingresso mentre la corsia centrale del primo mezzo e' inspiegabilmente vuota.

Si parte e si arriva all'aereo, ed e' un turbinare di giacche uno sventolio di cravatte e anche un certo ballonzolare di generosi decollete di queste ragazze/donne manager che profumano intensamente e i cui tacchi segnano il ritmo della cacofonia delle centinaia di Nokia tunes che si accavallano uno sull'altro su per le scalette, fin dentro la carlinga, per spegnersi all'allaccio della cintura di sicurezza.

La finta cortesia fa i paio coll'insofferenza ormai malcelata e alla fine si parte.

Lo spettacolo delle montagne innevate e poi del mare.

La ragnatela delle rughe luminose che segnano il volto notturno di Roma nella lenta discesa a spirale verso l'areoporto.

Altro pulmino, il terminal.

Uno pelato come me sara' il mio autista Airport, e' simpatico, non sveglissimo a scavallare un miningorgo per incidente all'altezza dello svincolo dell'Aurelia (tietti sulla sinistra figlio bello, poi rientri alla fine... ) La Mercedes e' confortevole, il viaggio anche divertente con gli autisti che si comunicano i punti critici dell'ultimo traffico della loro snervante giornata.

Ci scambiamo due chiacchiere sulle mogli, sulle cene che ci preparemo da soli se non ci addormentiamo prima, sulla comodita' (!) di vivere fuori Roma.

"Dotto', arrivederci", un largo sorriso, la semplicita' della prima persona "normale" incontrata durante il viaggio, ormai giunto a destinazione.

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