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martedì 27 marzo 2012

Le prostitute a Tor di Quinto

Come ogni mattina percorro con il mio scooter truffa la strada che mi porta al lavoro. I pensieri sono tanti, il cuore e' pesante, e giunto su viale di Tor Di Quinto, quasi non vedo il semaforo pedonale rosso. Mi fermo e solo per questo sento che mi sta squillando il cellulare nel borsello che porto sempre a tracolla. In fretta e furia mi sfilo i guanti, trovo l'infernale attrezzo, il visore mi rimanda un numero oscurato, chi cazz'e' a quest'ora non se capisce.
Sebbene sia a una decina di minuti dall'ufficio, decido comunque di fermarmi, con tre regazzine in giro non si sa mai, pertanto approfitto di uno svincoletto per imboccare la corsia che corre parallela allo stradone principale, e mi fermo subito dopo il grande parcheggio messo a disposizione per i concorsisti della vicina caserma dei carabinieri.
Riesco miracolosamente a prendere la chiamata, ma e' solo uno che ha sbagliato numero, non so se mannallo a fanculo o no, poi opto per il meglio cosi' e lascio perdere.
Sto per infilare di nuovo il casco integrale, quando due gentili donzelle mi si sbracciano una decina di metri piu' avanti, nei pressi di una roulotte sgangherata.
Piu' che gentili donzelle, sono due prostitute di lungo, lunghissimo corso, che si possono incontrare tutti i giorni fin dalle prime luci dell'alba nel parcheggio adiacente al viale.
Pare che la roulotte presso la quale esercitano il mestiere piu' vecchio del mondo (anche se a guardalle bene mi sa che almeno una e' piu' vecchia del mestiere stesso) sia rimasta in panne.
E te pare che io nun me rendo disponibbile? E certo che si.
Me dichiarano che s'e' bruciato il motorino d'avviamento, e vorrebbero spostare il mammozzone a quattro ruote sotto i rami di un albero spennacchiato per rendere evidentemente il temporaneo soggiorno dei clienti un tantino piu' fresco.
Je serve una spinta, insomma, e tra qualche tetta in forigioco e un tripudio di vernacolo romanesco, tentiamo di spostare la vecchia carcassa (no, non la prostituta, la roulotte!) fuori da una cunetta.
Pare non ci sia verso. Almeno fino a quando la piu' giovane (oddio, giovane) delle due, al grido di "Fateme largo, che io so' ciociara!" non si unisce a me e alla sua collega. Se mette de spalle, agguanta il carrozzone da sotto, praticamente lo alza e banfete, eppur si muove, lo tira fori dalla cunetta quasi da sola.
E li', come sempre, io supero me stesso.
Me giro e je faccio (ma come me ne esco...): "Aho, si scopi la meta' de come arzi..."
Da quel momento ce so' stati almeno 10 minuti de vero teatro der doppio senso, in cui la frase piu' riferibile che si e' sentita in quell'angolo di Roma e' stata "Aho, si questa te pija te lo sfrullina, er passerotto!"
Poi m'hanno offerto uno sconto mostruoso sulle prestazioni, e quasi m'aspettavo che me consegnassero anche un coupon...Una e' partita in tromba (e me pare ovvio) e ha coinvolto pure le colleghe de due tre camper piu' avanti, "me riccomanno se viene sto ragazzo ar prezzo de quello che costa de meno je famo er servizio completo..."
Insomma, ho aperto una linea de credito (peraltro francamente inesigibile) ma soprattutto, me so' fatto du' risate de core.
E m'e' venuta in mente mi madre, che lavorando in uno studio legale che difendeva soprattutto prostitute romane, me diceva sempre: "So' le persone piu' sincere e simpatiche che ce stanno." De sicuro, m'hanno rallegrato la giornata.

martedì 20 settembre 2011

Il papi....

Ormai si parla solo di lei.


Sia chi frequenti il bar aziendale più che la propria scrivania, sia chi non ci ha messo mai piede, un pò per snobismo un pò per pigrizia: tutti, almeno una volta, hanno sentito parlare del nuovo acquisto.

E' giovane. E bella. Ha un corpo pieno, sinuoso, ingenuo. Roba da infarto, si dice.

Ha le ciglia lunghe, sorride timida, la camicetta sbottonata al punto giusto.

Io sono tra i fortunati che l'ha vista dal vivo. Manco fosse una rockstar.
E confermo tutto: é bellissima, giovane, con quel sex appeal nascosto dietro le movenze da brava ragazza che rischia de fatte sbroccà.


Ed ecco che in una fresca e antelucana mattina, una delle pochissime in cui mi avvalgo del servizio pubblico per raggiungere il posto di lavoro, complice un autobus che per colpa del radiatore porta qualche minuto di ritardo, ecco che due fermate dopo la mia, sale lei.

Proprio lei.
E guarda caso, uno dei pochissimi posti liberi é quello accanto a me. E lei lo occupa.

Io chiacchiero pure coi serci, figuramose con la femmina più ambita di tutta l'azienda...
"Ma tu non sei la nuova..." e certo che é lei, che domanda sciocca, ma serve a rompere il ghiaccio, ci si presenta, "si é vero, lei viene ogni tanto a prendere un caffè", mi sorride... e non mi dare del lei damme del tu e inganniamo la transumanza mattutina con qualche chiacchiera, e poi quer lei già me deprime...

Si viaggia insieme, é giovane, molto giovane, si capisce da come racconta le cose, dalla sicumera che ostenta a dispetto della giovane età, tutto sommato me conviene dì sempre de sì, sò allenato cò mi moje e nun me costa gnente...

Le chiacchiere volano veloci, e pure il trenino e la metro. E' mattina presto, e percorriamo assieme anche quei dieci minuti di strada tra la metro e l'ufficio.

Come da copione le chiedo se vuole un caffè. Accetta subito, come dovrebbe essere normale, e andiamo al solito bar, quello che frequento ogni mattina con un mio collega.
Il barista é cordiale come al solito.
E lì me frego colle mano mie.

Je faccio, al barista, pelato e sorridente: "Aho, hai visto, oggi la compagnia che porto con me è migliorata parecchio, che dici.."


" Eh davero, é migliorata parecchio...

.... me fa lui.... er pelatone... e poi......


MA CHI E', TU FIJA?!?!?!?"

MALIMEJOMORTACCI TUA, A BARISTA... CO' AMICI COME TE, A CHE SERVONO I NEMICI?




ps: dopo 25 anni e 20mila guai, io a mi moje je vojo ancora bene. e la pischella davero, potrebbe essemi fija. E chi lo ha mai messo in discussione....
E me sò sentito pure io un pò papi...

lunedì 1 agosto 2011

Pendolare per un giorno

Mi capita raramente, piu' spesso d'estate, quando le femmine di casa si godono il lago e io, il venerdi' sera e successivamente il lunedi' mattina, di spostarmi dalla capitale al lago e ritorno utilizzando il servizio di trasporto pubblico.
Ovviamente i cento chilometri che in automobile percorri con un'oretta di viaggio, diventano un elastico che s'allunga non tanto nello spazio, quanto nel tempo. E quanno uno c'ha tempo, osserva...

Senz'altro il viaggio piu' interessante e piu' lungo e' quello del lunedi', per tornare al lavoro.

La sveglia e' antelucana, ben presto si impara a camminare sui pollicioni come Gatto Silvestro per non svegliare nessuno, la preparazione e' veloce, metodica, ben organizzata dalla sera prima, giusto il tempo delle abluzioni strettamente necessarie e ecco che l'aria friccicosa della mattina ti investe in piena faccia e riesce ove la suoneria piu' ossesiva di solito fallisce.
Il bar all'angolo e' aperto da un pezzo, l'avventore tipico e' qualche pescatore, la borsa del mio PC portatile stride un po', ma la cornetteria e' appena sfornata, il caffe' forte, la gente cordiale anche se stralunata.
Il piu' stralunato di tutti e' il barista, ha chiuso alle 3 la serranda in faccia alla gioventu' che vive ormai sempre piu' di notte, e alle 4 ha riaperto stoicamente i battenti. La stagione e' iniziata tutto sommato da poco, e gia' nun je la fa' piu', pero' il mestiere gli impone la comprensione di chi c'ha il coraggio de lamentasse perche' s'e' arzato presto, ma sempre piu' tardi di lui.
Alla fermata del pullman, che qui si chiama sempre "postale", come nel Far West, ce sto solo io. Gli spazzini lavorano qualche metro piu' in la', uno ha fatto le elementari con me 100 mila anni e parecchi chili fa per entrambi. Lui se ne fotte, se la gente dorme, e mi saluta fragorosamente. Contraccambio con meno entusiasmo, ma solo perche' temo di svegliare qualcuno.

Arriva un egiziano, vestito come uno dei dei rockets con un improponibile pantalone color argento e materiale simile al piombo. E' enorme, parla una lingua strana, deve anche lui andare a Roma e nun sa nemmeno da dove cominciare.
Stranamente, approfitta dei dieci minuti che mancano al passaggio della corriera, e scappa al bar per prendere un caffe'. Lo strano e' che mi chiede se ne voglio uno anche io, un soffio di solidarieta' che tra connazionali e' scomparso da secoli e che mi scopro tristemente ad ammettere, non fa parte nemmeno del mio DNA.
Il "postale" arriva in perfetto orario, quattro gatti insonnoliti e infreddoliti, a guardarli bene sono sempre gli stessi, persone che evidentemente fanno la spola tutti i giorni per lavoro.
Il viaggio e' veloce, le strade sgombre, la luce del giorno fa capolino e si arriva al capolinea, a Viterbo, dove partira' a breve la coincidenza per Roma. Faccio un cenno al Rocket d'Egitto, deve andare sulla Casilina, gli suggerisco di fare il viaggio con me e utilizzare la corriera per Roma solo al fine di arrivare alla stazione dei treni di Viterbo, e di li' prendere il regionale che lo portera' a Ostiense.
Si fida, prendiamo il pulman, anche esso in perfetto orario, lo sfruttiamo per pochissime fermate, scendiamo e percorriamo il breve tratto di strada che porta alla Stazione di Porta Romana. Io con il mio portatile a tracolla, lui carico di borse piene di misteriose suppellettili. Incredibile, mi offro di aiutarlo, ma lui rifiuta.
Anche il treno e' in perfetto orario, e nonostante sia il primo di Agosto, si riempie ugualmente di persone. Il mio estemporaneo amico, purtoppo per me, mi si sistema accanto, schiacciandomi verso il finestrino con la sua mole da lottatore di Sumo.
E' tempo per me di aprire un libro, per lui di chiudere gli occhi.
Ad Anguillara sale un'altra fiumana di persone, davanti a me una figura femminile vagamente nordica, le cui ginocchia mi arrivano praticamente in bocca, ma tant'e', lo spazio e' quello che e'. Porta con se un volume di parecchie centinaia di pagine, zeppo di pagine che praticamente non si riesce a leggere le parole che finiscono dentro l'incollatura del volume. Immagino abbia un sacco di tempo da ingannare durante i suoi viaggi quotidiani.

I posti a sedere finiscono, qualcuno e' costretto a stazionare sui predellini di scambio dei vagoni. La tratta e' breve, ma il tempo di percorrenza supera l'ora di viaggio, non vedo rabbia ne' sconforto, ne' rassegnazione, ma tanta forza dell'abitudine.

Il momento della discesa a Valle Aurelia e' caotico, la velocita' relativa con cui le persone si muovono aumenta come quella delle molecole messe su un becco Bunsen.

Ci si ammucchia verso l'uscita, ci si spinge un po', si guadagna l'uscita e a tutti noi manca solo il pettorale sponsorizzato e un paio di scarpini da atletica. Le rampe di scale e le scale mobili vengono attraversate di corsa, una piccola maratona locale che sfocia all'ingresso della metropolitana. Alcuni albanesi abbattono la fila agli ingressi elettronici scavalcandoli manco fosse la pubblicita' dell'olio Cuore, nessuno prova a fermarli, o a dir loro qualcosa.

La banchina della metropolitana e' stracolma, il cartello elettronico mente affermando che il treno arrivera' in due minuti, forse ne passano 3 o 4, ma questo risibile ritardo innervosisce tutti pur essendo ridicolo rispetto a tutto il tempo gia' trascorso in viaggio.

Scendo alla fermata di via Lepanto. Le scale dell'uscita che costeggia il tribunale Civile sono invase da anacronistici aghi di pino secchi, cartacce, bottigliette. Cammino di buona lena, c'e' chi va piu' veloce di me, i semafori pedonali bellamente ignorati, si arriva in ufficio dopo una passeggiatina di 20 minuti, arricchita dall'attraversamento di un mercato rionale per signori, dove casse di ciliegie grosse come pesche occhieggiano ignorate, visto che costano 8 euro al chilo, e chi me li da' 8 euri...
Sono quasi le 9, sono uscito di casa 3 ore e mezzo fa, e la giornata e' appena iniziata.
E c'e' chi lo fa tutti i giorni.