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lunedì 1 agosto 2011

Pendolare per un giorno

Mi capita raramente, piu' spesso d'estate, quando le femmine di casa si godono il lago e io, il venerdi' sera e successivamente il lunedi' mattina, di spostarmi dalla capitale al lago e ritorno utilizzando il servizio di trasporto pubblico.
Ovviamente i cento chilometri che in automobile percorri con un'oretta di viaggio, diventano un elastico che s'allunga non tanto nello spazio, quanto nel tempo. E quanno uno c'ha tempo, osserva...

Senz'altro il viaggio piu' interessante e piu' lungo e' quello del lunedi', per tornare al lavoro.

La sveglia e' antelucana, ben presto si impara a camminare sui pollicioni come Gatto Silvestro per non svegliare nessuno, la preparazione e' veloce, metodica, ben organizzata dalla sera prima, giusto il tempo delle abluzioni strettamente necessarie e ecco che l'aria friccicosa della mattina ti investe in piena faccia e riesce ove la suoneria piu' ossesiva di solito fallisce.
Il bar all'angolo e' aperto da un pezzo, l'avventore tipico e' qualche pescatore, la borsa del mio PC portatile stride un po', ma la cornetteria e' appena sfornata, il caffe' forte, la gente cordiale anche se stralunata.
Il piu' stralunato di tutti e' il barista, ha chiuso alle 3 la serranda in faccia alla gioventu' che vive ormai sempre piu' di notte, e alle 4 ha riaperto stoicamente i battenti. La stagione e' iniziata tutto sommato da poco, e gia' nun je la fa' piu', pero' il mestiere gli impone la comprensione di chi c'ha il coraggio de lamentasse perche' s'e' arzato presto, ma sempre piu' tardi di lui.
Alla fermata del pullman, che qui si chiama sempre "postale", come nel Far West, ce sto solo io. Gli spazzini lavorano qualche metro piu' in la', uno ha fatto le elementari con me 100 mila anni e parecchi chili fa per entrambi. Lui se ne fotte, se la gente dorme, e mi saluta fragorosamente. Contraccambio con meno entusiasmo, ma solo perche' temo di svegliare qualcuno.

Arriva un egiziano, vestito come uno dei dei rockets con un improponibile pantalone color argento e materiale simile al piombo. E' enorme, parla una lingua strana, deve anche lui andare a Roma e nun sa nemmeno da dove cominciare.
Stranamente, approfitta dei dieci minuti che mancano al passaggio della corriera, e scappa al bar per prendere un caffe'. Lo strano e' che mi chiede se ne voglio uno anche io, un soffio di solidarieta' che tra connazionali e' scomparso da secoli e che mi scopro tristemente ad ammettere, non fa parte nemmeno del mio DNA.
Il "postale" arriva in perfetto orario, quattro gatti insonnoliti e infreddoliti, a guardarli bene sono sempre gli stessi, persone che evidentemente fanno la spola tutti i giorni per lavoro.
Il viaggio e' veloce, le strade sgombre, la luce del giorno fa capolino e si arriva al capolinea, a Viterbo, dove partira' a breve la coincidenza per Roma. Faccio un cenno al Rocket d'Egitto, deve andare sulla Casilina, gli suggerisco di fare il viaggio con me e utilizzare la corriera per Roma solo al fine di arrivare alla stazione dei treni di Viterbo, e di li' prendere il regionale che lo portera' a Ostiense.
Si fida, prendiamo il pulman, anche esso in perfetto orario, lo sfruttiamo per pochissime fermate, scendiamo e percorriamo il breve tratto di strada che porta alla Stazione di Porta Romana. Io con il mio portatile a tracolla, lui carico di borse piene di misteriose suppellettili. Incredibile, mi offro di aiutarlo, ma lui rifiuta.
Anche il treno e' in perfetto orario, e nonostante sia il primo di Agosto, si riempie ugualmente di persone. Il mio estemporaneo amico, purtoppo per me, mi si sistema accanto, schiacciandomi verso il finestrino con la sua mole da lottatore di Sumo.
E' tempo per me di aprire un libro, per lui di chiudere gli occhi.
Ad Anguillara sale un'altra fiumana di persone, davanti a me una figura femminile vagamente nordica, le cui ginocchia mi arrivano praticamente in bocca, ma tant'e', lo spazio e' quello che e'. Porta con se un volume di parecchie centinaia di pagine, zeppo di pagine che praticamente non si riesce a leggere le parole che finiscono dentro l'incollatura del volume. Immagino abbia un sacco di tempo da ingannare durante i suoi viaggi quotidiani.

I posti a sedere finiscono, qualcuno e' costretto a stazionare sui predellini di scambio dei vagoni. La tratta e' breve, ma il tempo di percorrenza supera l'ora di viaggio, non vedo rabbia ne' sconforto, ne' rassegnazione, ma tanta forza dell'abitudine.

Il momento della discesa a Valle Aurelia e' caotico, la velocita' relativa con cui le persone si muovono aumenta come quella delle molecole messe su un becco Bunsen.

Ci si ammucchia verso l'uscita, ci si spinge un po', si guadagna l'uscita e a tutti noi manca solo il pettorale sponsorizzato e un paio di scarpini da atletica. Le rampe di scale e le scale mobili vengono attraversate di corsa, una piccola maratona locale che sfocia all'ingresso della metropolitana. Alcuni albanesi abbattono la fila agli ingressi elettronici scavalcandoli manco fosse la pubblicita' dell'olio Cuore, nessuno prova a fermarli, o a dir loro qualcosa.

La banchina della metropolitana e' stracolma, il cartello elettronico mente affermando che il treno arrivera' in due minuti, forse ne passano 3 o 4, ma questo risibile ritardo innervosisce tutti pur essendo ridicolo rispetto a tutto il tempo gia' trascorso in viaggio.

Scendo alla fermata di via Lepanto. Le scale dell'uscita che costeggia il tribunale Civile sono invase da anacronistici aghi di pino secchi, cartacce, bottigliette. Cammino di buona lena, c'e' chi va piu' veloce di me, i semafori pedonali bellamente ignorati, si arriva in ufficio dopo una passeggiatina di 20 minuti, arricchita dall'attraversamento di un mercato rionale per signori, dove casse di ciliegie grosse come pesche occhieggiano ignorate, visto che costano 8 euro al chilo, e chi me li da' 8 euri...
Sono quasi le 9, sono uscito di casa 3 ore e mezzo fa, e la giornata e' appena iniziata.
E c'e' chi lo fa tutti i giorni.